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Sovraindebitamento e gioco d'azzardo



Dott.ssa Giulia Scorziello - Il sovraindebitamento è un fenomeno in continua espansione e dalla spiccata pericolosità sociale. Non si può negare che dietro la caduta della propensione al risparmio delle famiglie ci sia l’evidente aumento del costo della vita, ma non può non essere presa in considerazione la dilagante diffusione di una mentalità consumistica che spinge all’ acquisto di ogni misura.

Tra le tante cause da indebitamento e sovraindebitamento c’è quella di “giocarsi tutto”. Argomento che è stato a lungo al centro del dibattito legislativo, tanto che un valido strumento per ritrovare serenità sotto il profilo finanziario viene offerto dalla Legge n. 3 del 2012. Le procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento consentono di dare una seconda possibilità ai soggetti affetti da documentato gioco d’azzardo patologico, liberandoli dalla pressione dei creditori.

Il tema merita attenzione anche da un punto di vista sociale e psicologico.

L’ evoluzione del gioco sociale in gioco d’ azzardo patologico si articola lungo un continuum e assume le caratteristiche di un’escalation che va da giocatore sociale al giocatore problematico fino a quello patologico e non è facile, forse non è proprio possibile, tracciare una demarcazione netta fra le tre categorie. Volendo fare riferimento alla fotografia della società attuale, si può prendere consapevolezza di come il fenomeno del gioco d’ azzardo non solo faccia da specchio alla società stessa, ma trovi in questa una collocazione precisa. Viviamo in un mondo dove non esistono limiti e confini, dove tutto sembra essere diventato possibile e lecito, dove il piacere ha superato il dovere, dove la liberazione e la serenità personale passano soprattutto attraverso l’acquisto, il possesso e l’esibizione.

In questa prospettiva, anche la concettualizzazione della problematica delle dipendenze assume un nuovo significato. Pensiamo a Freud, quando aveva parlato del disagio della civiltà. Il padre della psicoanalisi sosteneva che la sofferenza era considerata la conseguenza necessaria per un soggetto inibito da un sistema sociale che imponeva la rinuncia al soddisfacimento pulsionale. Oggi, invece, osserviamo come al pudore e al controllo si sostituisce la necessità di consumare, di godere immediatamente e di prendersi dei rischi. In questo tipo di cambiamento trovano il loro spazio anche le nuove forme di dipendenza come il gioco d’ azzardo che si fa portavoce del malessere di una società in cui solo l’azione rapida ed efficace sembra garantire ed assicurare la possibilità di vedere riconosciuto il proprio valore e il proprio ruolo sociale. Non c’è più l’immagine del giocatore decadente seduto ad un tavolo verde che per anni ha popolato lo stereotipo comune, ma c’è quella dell’uomo o della donna della porta accanto che al bar, o online da casa, gioca il suo stipendio. Il giocare dei nostri tempi è più vicino di quanto ci potessimo aspettare. Chiamando ancora una volta in causa la prospettiva evolutiva, l’attività legata al gioco assume caratteristiche specifiche della natura umana. Nella fase dell’infanzia questa rappresenta una tappa fondamentale del bambino perché gli consente di soddisfare specifici bisogni: autostima, autoefficacia, autoaffermazione e definizione del carattere. Il gioco rappresenta l’unità di misura del senso del limite del bambino; attraverso l’esperienza ludica si prende coscienza delle proprie capacità e qualità. Favorisce lo sviluppo della creatività, dell’imitazione e dello scambio dei ruoli. In età adulta invece si struttura come una forma di compensazione, di scarico della tensione e dell’aggressività. Diventa una fonte di gratificazione che interrompe l’attività quotidiana.

Il gioco d’ azzardo viene collocato dal DSM-5 tra i disturbi di dipendenza come “disturbo non correlato all’ uso di sostanze”, definendolo come un “comportamento problematico di gioco d’ azzardo, persistente e ricorrente, che causa difficoltà o disagio clinicamente significativo, nell’ arco di un periodo di 12 mesi” (APA 2013).

Per approfondire il quadro clinico del disturbo da gioco d’ azzardo è utile fare riferimento alla prospettiva storico-evolutiva e al modello di Custer (1984) che descrive molto bene il progressivo coinvolgimento del soggetto nel gioco attraverso tre fasi. La prima è la fase della vincita: il soggetto ad una vincita reale e rilevante, sviluppa la convinzione che il gioco costituisce una fonte facile e sicura di denaro.

Contemporaneamente il gioco assume la funzione di modulatore degli stati affettivi e di mezzo per rinsaldare la propria identità sociale. In questa fase il giocatore “gambler” presenta distorsioni cognitive che sfociano nel pensiero magico e nell’ illusione che l’esito del gioco dipenda dalle proprie abilità. Segue la fase della perdita, in cui si manifesta sempre più forte la perdita di controllo sul proprio comportamento, associata ad un bisogno irrefrenabile di giocare con maggiore frequenza aumentando le somme scommesse. Si innesca un circolo distruttivo dove le perdite rinforzano il gioco allo scopo di compensarle e le vincite incoraggiano a giocare. L’ ultima fase, quella disperazione a seguito di una situazione economica, familiare e sociale disastrosa, dovuta al gioco, porta il sovra indebitato a vivere in preda a stati depressivi e talvolta a pensieri di tipo suicidario, ammettendo di avere bisogno di aiuto. L’ impatto del gioco investe poi in modo trasversale tutti i sistemi in cui il dipendente è inserito, sia umani che sociali dove si “gioca a ribasso” nelle relazioni, con i figli, nelle coppie, nelle famiglie.

La domanda da porsi allora è: può tale sofferenza rimanere un fatto privato?

Per una condizione umana che spinge prepotentemente verso la velocità, la superficialità, l’evitamento, le dipendenze, le fragilità, la reversibilità delle esperienze, il tentativo di “correzione” non può non essere quello che passa per la preservazione dello spazio psichico. E questo significa ascolto dell’Altro, valorizzazione delle relazioni, riconoscimento del ruolo salutare degli affetti evitando la cristallizzazione isolata del dolore e del fallimento. Una risposta necessaria ed essenziale, nella sua semplicità, agli ostacoli che incontrano debitori e famiglie, di ora e di sempre, di fronte alla perdita.

Giulia Scorziello, Psicologa e Psicoterapeuta familiare.

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